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Verbale della riunione della commissione Didattica AIDIC-GRICU
del 16/7/02
Come previsto dalla convocazione, la riunione inizia alle ore
11 presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali,
delle Materie Prime e Metallurgia dell’Universrita’ di Roma la
Sapienza. Sono presenti i professori: Giancarlo Baldi (Polit.
Torino) presidente della Commissione, Barbara Mazzarotti (Univ.
Roma), Tiziano Faravelli (Polit. Milano), Alberto Brucato (Univ.
Palermo), Alberto Bertucco (Univ. Padova), Vincenza Calabrò (univ.
Calabria), Renzo Di Felice (Univ. Genova), Piero Salatino (Univ.
Napoli), Leonardo Tognotti (Univ. Pisa), Giuseppe Titomanlio (Univ.
Salerno) presidente del GRICU e Salvatore Vaccaro (Univ. Salerno)
come segretario del GRICU.
Il prof. Titomanlio espone brevemente i vari punti discussi nella
riunione GRICU del giorno precedente.
La riunione continua con il seguente ordine del giorno:
1) Identità dell'ingegneria chimica italiana
2) Situazione didattica
3) Eventuale nomina di gruppi di lavoro parziali
Il prof. Baldi chiarisce che l’obiettivo della commissione
è il rilancio dell’ingegneria chimica, nella riunione in corso
bisogna individuare gli obiettivi da perseguire per tale rilancio
e renderli operativi.
Egli ritiene che il rilancio dell’ingegneria chimica nell’università
passa anche attraverso il rilancio della copertura di specialità
presso altri corsi di laurea come ad esempio: farmaceutica, alimentare,
carta, energia, materiali ed altri. Il prof. Baldi individua due
azioni fondamentali da perseguire:
per rilanciare l’ingegneria chimica nell’università è
necessario rilanciare i contatti con l’industria. Ad esempio attraverso
un forum in cui si possano scambiare opinioni e lanciare idee
per il perseguimento dell’obiettivo ma anche istituire semplicemente
contatti, anche sfruttando eventi nazionali (fiere, dove sono
già presenti gli stands).. Tra i settori industriali e gli enti
di interesse il prof. Baldi indica: Federchimica, Unifarma, settore
vernici, alimentari, materiali tradizionali ed energia. Ciò potrebbe
anche aiutare a ridefinire il profilo professionale richiesto
e quindi ad “aggiustare” i curricula. Questi contatti potrebbero
anche servire a presentare gli studenti all’industria per esempio
attraverso viaggi d’informazione.
Il prof. Baldi ritiene anche che sia necessario ripensare
e ridefinire il curriculum dell’ingegnere chimico per il 21° secolo.
Bisogna, infatti, chiedersi: a chi si rivolge l’ingegnere chimico?
E quindi bisogna pensare ad un core curriculum collegato ai vari
sviluppi settoriali.
Il prof. Bertucco ritiene che per risolvere il problema
sia necessario chiedersi a cosa serve l’ingegneria chimica e quale
sia lo stato dell’industria chimica italiana. A tal proposito
egli afferma che quando è nata l’industria chimica in Italia,
la chimica era in un periodo di forte espansione mentre oggi c’è
decadenza della stessa. Inoltre, egli rileva che non vi è incontro
tra le esigenze attuali dell’industria chimica ed il curriculum
proposto dall’università. Infine, egli nota che l’identità culturale
dell’ingegnere chimico non è chiara alla società civile e, quindi,
persistere in questa situazione può portare all’estinzione.
Il prof. Tognotti sostiene che in ogni caso la qualità
del “prodotto” ingegnere chimico dipende molto dalla qualità degli
studenti in ingresso all’università. Egli ritiene che un’iniziativa
utile per il rilancio consista nella cura dell’immagine e nella
promozione del corso di studi. Egli ritiene, inoltre, che le basi
del rilancio siano nella capacità che gli ingegneri chimici hanno
di essere culturalmente elastici, cioè, in grado di offrire competenze
spendibili in vari settori industriali e che il confine (la specificità)
rispetto agli settori culturali affini consista essenzialmente
nel metodo adottato nell’affrontare i problemi ingegneristici.
Il prof. Brucato muove delle obiezioni sulle considerazioni
del prof. Bertucco. In particolare, egli ritiene che per moltissimi
processi dell’industria non specificamente chimica sia necessaria
la competenza dell’ingegnere chimico. Per quanto riguarda, invece,
l’offerta formativa del nuovo ordinamento (3+2) dalla riunione
del giorno precedente è emerso che in molte sedi vi sono perplessità
sebbene prevalga un atteggiamento attendista prima di esprimere
un giudizio definitivo. Le perplessità riguardano principalmente
il pericolo connesso alla impossibilità di fornire un metodo agli
studenti nei tre anni del primo livello e ciò potrebbe significare
la fine del corso di studi. Egli ritiene, quindi, che potrebbe
essere opportuno per l’ingegneria chimica derogare dal 3+2 tramite
un’azione di “lobbing”, anche a livello europeo, per avere uno
spazio maggiore in termini di durata del corso di studi.
Il prof. Baldi interviene ricordando che in Germania
pare che il corso di studi si sia attestato su un 3,5+1,5 mentre
in Francia coesistono in parallelo i percorsi 3 e 5 anni e, ancora,
in Spagna ci si è attestati sul 3+2. L’Olanda ha fatto una scelta
simile alla Germania mentre la Gran Bretagna è, già da tempo,
attestata sul 3+1,5.
Il prof. Salatino interviene sottolineando che bisogna
considerare tre punti: 1) la percezione del corso di studi da
parte della gente comune; 2) le resistenze ed i vincoli del mondo
accademico; 3) il rapporto con le aziende.
Le priorità di intervento devono essere, in accordo con
la proposta del prof. Baldi, invertite rispetto all’ordine precedente.
Il mondo industriale è attento all’ingegneria chimica e le offerte
di impiego sono elevatissime per gli ingegneri chimici e ciò anche
perché si riesce ad impiegare l’ingegnere chimico in un settore
anche quando egli non ha competenze specifiche in esso.
In secondo luogo bisogna intervenire nel mondo accademico
dove c’è una situazione di completa “deregulation” delle conoscenze
(introduzione di nuovi ed attraenti corsi di laurea). Il ruolo
del Gricu in quest’ambito è importante perché esso potrebbe muoversi
su scala nazionale, e fare da veicolo verso quelle sedi dove è
più possibile aprire nuovi spazi per le competenze d’ingegneria
chimica. Il Gricu potrebbe anche intervenire per il riesame critico
delle classi delle lauree specialistiche. Altro aspetto è quello
delle declaratorie che sono troppo simili: sembra non esservi
nessuna necessità per la differenziazione, bisognerebbe invece
rimarcare di più le differenze tra i settori dell’ingegneria chimica.
Inoltre, egli paventa l’insorgere di confusione tra laureati
triennali e quinquennali ed auspica un input dal mondo industriale
col quale è necessario un confronto anche su altre questioni come
ad es. se sia o meno necessaria la biotecnologia come conoscenza
di base dell’ingegnere chimico. Infine, per quanto riguarda il
rapporto con la società civile, egli ritiene che stiamo pagando
per una questione di immagine negativa associata a tutto quello
che è “chimico”. È cioè una questione di “essere e di apparire”
e, quindi, per risollevare l’immagine dobbiamo affidarci a dei
comunicatori capaci. Lo specifico intervento potrebbe anche essere
concordato con il mondo industriale
Il prof. Baldi si chiede in modo interlocutorio quali
possano essere il ruolo del Gricu e della commissione AIDIC-Gricu
rispetto a tali problematiche e suggerisce che quello della commissione
possa essere quello di istruire il problema.
La prof. Calabrò interviene affermando che siccome l’industria
chimica è praticamente assente nella sua regione ciò è uno svantaggio
per la sede. Come alternativa c’è solo l’industria alimentare.
In ogni caso la richiesta delle aziende è per ingegneri chimici
ma la materia prima “studenti” non vuole entrare. Ella ritiene,
quindi, che ci sia bisogno di un lavoro strettamente pubblicitario
in cui si sottolinei il ruolo della chimica per la salvaguardia
ambientale o l’importanza della chimica per la produzione di beni
indispensabili. Ella si chiede poi se il laureato triennale serva
oppure no. Anche se la confindustria lo richiede è necessario
un lavoro di ricognizione specifico nell’industria chimica per
sapere se questo laureato serve o meno e quali competenze debba
avere. Tutto ciò perché fino ad ora l’ingegnere chimico è stato
di ottima qualità ma ci sono dei dubbi che nel futuro si producano
ingegneri troppo specializzati. Ella suggerisce di affrontare
il problema costituendo dei gruppi per macroregioni o macroaree.
Interviene il prof. Di Felice asserendo che qualcosa
non quadra se pur producendo l’università ottimi ingegneri chimici
l’industria chimica italiana sia in crisi. Egli ritiene quindi
che non stiamo fornendo il prodotto che serve e che dobbiamo sforzarci
di produrre qualcosa di più adatto a questa industria chimica
(egli ritiene per esempio che ci sia un grosso bagaglio culturale
non chimico (Macchine, Idraulica, Informatica, Economia, ecc.)
nel curriculum dell’ingegnere chimico ma che questo non è adatto
a quello che poi viene richiesto nel mondo del lavoro. Egli pensa
che si sia sprecata l’occasione della riforma perché il 3+2 è
stato inteso come la compressione del contenuto dei 5 anni nei
tre anni. Infine, egli ricorda che la crisi dell’industria chimica
non riguarda solo l’Italia ma anche altri paesi come l’Olanda
e la Gran Bretagna. Il prof. Di Felice sottolinea che la cattiva
fama della chimica è anche da imputarsi ai messaggi dei mass media.
Il prof. Vaccaro ricorda però, citando dati della Federchimica,
che la bilancia commerciale dei prodotti chimici per l’unione
europea è in attivo e lo sono anche quelle relative ai maggiori
stati presi singolarmente tranne che per l’Italia.
La prof. Mazzarotta interviene sostenendo che il problema
principale resta quello della comunicazione perché la società
civile non conosce cosa si fa ad ingegneria chimica, e perché
c’è una diffidenza di base. Di conseguenza solo gli addetti ai
lavori apprezzano il potenziale di positività degli ingegneri
chimici. Ella, quindi, suggerisce di intraprendere un’azione capillare
d’informazione: attraverso il sito WEB che deve risultare attraente
e facilmente accessibile, e attraverso sistemi di comunicazione
al più alto livello per evitare messaggi fuorvianti.
Il prof. Vaccaro pur condividendo i contenuti di molti
degli interventi che l’hanno preceduto ritiene che il problema
del calo delle iscrizioni sia dovuto principalmente all’incoscienza
che accompagna nella maggioranza dei casi l’immatricolazione degli
studenti piuttosto che ad una scelta ragionata (vedi ad es. il
rapporto occupati/laureati dopo 1 anno per ingegneria chimica).
Inoltre, egli pensa che non è detto che la sopravvivenza dell’ingegneria
chimica sia aiutata dal prestito di competenze a settori disciplinari
affini. Anzi questo potrebbe rivelarsi un boomerang perché in
realtà in questo modo si forniscono a tali settori competenze
che essi non hanno, aiutandoli a formare nuove figure professionali
con nomi nuovi ed accattivanti (che attraggono molto i giovani
immatricolandi) ed impedendo al contempo che tali figure possano
nascere all’interno dell’ingegneria chimica stessa. In tutto questo
l’introduzione della laurea triennale così com’è non aiuta. Egli,
ritiene che un’efficace azione potrebbe essere quella di ordinare
il corso di studi con un triennio nel quale si forniscono agli
studenti gli strumenti e le metodologie di base dell’ingegneria
chimica e molti bienni, differenziati tra loro, e specialistici
che potrebbero competere col nome e nei fatti con settori affini
concorrenziali. Ad esempio istituire nella stessa sede lauree
specialistiche in ingegneria dell’ambiente, ingegneria della sicurezza,
ingegneria dei materiali, ingegneria di processo, ingegneria alimentare
etc. con una parte preponderante delle materie in comune ed un
certo numero caratterizzanti la laurea specialistica. Quindi,
fare un’operazione di marketing e di differenziazione del prodotto
sfruttando anche in maniera efficace la formula 3+2.
Ci sono interventi che sottolineano le difficoltà di
realizzazione di un’operazione del genere prima fra tutte il fatto
che la laurea specialistica deve essere strutturata sui cinque
anni e non solo sugli ultimi due.
Il prof. Faravelli si chiede se realmente serva un rilancio.
Egli è d’accordo col fatto che la chimica è in crisi, tuttavia
essa è ancora uno dei settori industriali forti e trainanti dell’unione
europea. Per quanto riguarda il rilancio dell’ingegneria chimica,
egli pensa che non c’è e non ci sarà un problema di sbocchi occupazionali
anche perché l’ingegnere chimico può introdursi in altri settori
industriali. È allora solo un problema d’immagine nazionale, europea,
mondiale. C’è in altre parole una paura diffusa della chimica.
Quindi, il problema è recuperare l’immagine della chimica e ciò
può essere fatto coordinando gli sforzi tra noi e le aziende.
Queste ultime daranno sicuramente un contributo ma la responsabilità
dell’aspetto culturale deve essere nostro. Come GRICU poi si potrebbe
chiedere alle società di comunicazione di fare qualcosa.
Il prof. Bertucco ribadisce che l’obiettivo che ci si
deve proporre non è quello di crescere a dismisura ma quello di
non estinguersi. Tuttavia, è anche vero che come categoria si
sopravvive se si è in grado di offrire qualcosa di utile alla
società. Egli si dice d’accordo con l’idea di attuare una forma
di comunicazione verso la società civile (agenzia di comunicazione,
WEB, CD divulgativo, etc) ma si chiede chi tira fuori i quattrini
per realizzare tutto ciò?
Il prof. Baldi interviene ritenendo di poter individuare
sulla base di quanto si è detto 2 obiettivi:
1) rivalutazione dell’immagine tramite la comunicazione: verso
l’esterno (poiché senza una motivazione razionale non si sceglie
la chimica); verso l’interno (comunicazione in ambito accademico,
facendo valere l’eccellenza della ricerca svolta dai ricercatori
ingegnere chimico dell’università).
2) rapporto con le aziende; in particolare, è necessario coinvolgere
le aziende nel sostenere l’immagine dell’ingegneria chimica con
iniziative specifiche, nella progettazione del corso di studi,
è necessario anche un rinnovamento all’ interno dell’ingegneria
chimica dell’Università riconsiderando che cosa può essere ancora
valido e cosa può essere tralasciato.
Egli propone, quindi, di costituire delle sottocommissioni (steering
committees) per ognuno dei punti suddetti. In particolare, suggerisce
di formare una sottocommissione per il curriculum, una per la
gestione dell’immagine, un’altra per la gestione del rapporto
con il mondo accademico e con l’ordine degli ingegneri ed, infine,
una per la gestione del rapporto con il mondo produttivo.
Il prof. Titomanlio fa una sintesi dei punti salienti
emersi dalla discussione ed in particolare rileva che:
L’ingegneria chimica ha tutte le caratteristiche e le
capacita’ per svolgere un ruolo importante per la società, e ciò
nonostante la crisi dell’industria chimica italiana. La caratteristica
fondamentale e più pregiata dell’ingegnere chimico è la capacita’
di inserirsi e contribuire in settori molto diversificati, tale
polivalenza è legata alle metodologie che, oltre che all’industria
chimica classica, possono facilmente essere applicate a numerosi
altri settori di rilievo o meno maturi per i quali la formazione
degli ingegneri chimici può dare un contributo rilevante. Per
tale motivo, nonostante la crisi dell’industria chimica in Italia,
i laureati in ingegneria chimica non hanno problemi ad inserirsi
nel mondo del lavoro: nel 1990 il cinquanta percento dei laureati
trovava lavoro nell’industria chimica e petrolchimica e gli altri
non avevano problemi ad inserirsi in altri ambienti, oggi il novanta
percento trova lavoro al di fuori dell’industria chimica in settori
comunque nei quali la formazione e le capacita’ dell’ingegnere
chimico sono molto apprezzate. L’approccio fondamentale e metodologico
in questo momento è quello che più va difeso ed eventualmente
sviluppato nel curriculum per evitare che i problemi occupazionali,
che per ora non ci sono, insorgano fra qualche anno..
La crisi di immatricolazioni all’ingegneria chimica va
affrontata attraverso un piano di comunicazione, che deve essere
sviluppato con tempestività. Mentre si prepara un approccio più
ampio con la collaborazione di Federchimica e AIDIC si può preparare
un CD che illustri la formazione dell’ingegnere chimico e la sua
capacita’ di inserirsi nei settori più diversi come: la trasformazione
dei materiali, l’industria farmaceutica, quella alimentare, quella
biomedica, delle biotecnologie, il settore energetico, quello
della preservazione dell’ambiente, della sicurezza ed altri ancora.
A proposito del settore della preservazione dell’ambiente
è importante chiarire se un ingegnere iscritto all’ordine nel
settore industriale ha, tra le altre, competenze per effettuare
attività nel campo ambientale o della sicurezza.
Il prof. Brucato concorda con l'importanza del problema
concernente l'ordine professionale. Suggerisce inoltre di riflettere
sull’opportunità di cambiare la denominazione del corso di laurea.
Ritiene, infatti, che ormai il nome "chimica" si sia talmente
caricato di negatività nella percezione del pubblico, che se da
un lato è certamente meritoria la sua rivalutazione per mezzo
di accorte campagne d’informazione, dall'altro è meglio lasciare
questo gravoso compito alle aziende, che dispongono di mezzi e
interessi economici ben diversi dai nostri. Nell'attesa che tale
rivalutazione si radichi nella coscienza collettiva, ai fini della
promozione delle immatricolazioni nei nostri corsi di laurea,
potrebbe risultare utile cambiare nome. In particolare, coerentemente
con il fatto che l'occupazione prevalente non è più nell'industria
chimica, il corso di laurea potrebbe assumere il nome di "ingegneria
di processo".
A questo punto il prof. Baldi propone di formare le sottocommissioni
da lui proposte precedentemente. Vengono formate le seguenti sottocommissioni:
sottocommissione per la gestione dell’immagine: i proff.
Tognotti, Calabrò e Di Felice
sottocommissione per il curriculum: proff. Salatino,
Mazzarotta e Vaccaro
sottocommissione per la gestione del rapporto con il
mondo produttivo: proff. Baldi e Faravelli,
I rapporti con il mondo accademico e con l’ordine degli ingegneri
saranno gestiti dai membri della presidenza Gricu. I lavori delle
sottocommissioni avranno una prima scadenza per fine settembre
in vista di un’assemblea GRICU da tenersi in ottobre.
Alle ore 14 si decide di chiudere la riunione
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